Il Contemporary Culture Center di Palazzo Tagliaferro ha aperto la stagione espositiva estiva con la mostra personale, in prima internazionale, site specific, del grande artista ateniese, residente a Berna, Nakis Panayotidis.
Il lirico titolo della mostra Elegie dipinte, ideato dall’artista, suona evocativo della grecità e latinità del verso poetico in dialogo con l’arte della pittura. Secondo un noto aforisma, la pittura, infatti, è poesia silente, mentre la poesia è pittura eloquente.
L’evento espositivo italiano è particolarmente significativo, perché segna un punto di svolta di un artista formatosi nella mitica Torino degli anni Settanta, nel clima dell’ormai storica Arte Povera celantiana, cresciuto in ambito internazionale, con una sua cifra estetico-minimal-concettuale, in cui il rapporto tra l’immagine fotografica in bianco e nero, l’intervento pittorico e la luce al neon, interagiscono emotivamente e percettivamente. Nakis Panayotidis dà forma visibile ora a un ricordo d’infanzia, ora all’impatto emotivo di fronte alla figura di un Maestro. Le sue opere muovono da un atelier del Nord elvetico, da cui virtualmente, nelle quotidiane ore di lavoro dell’artista, partono navi per l’Oceano aperto, si alzano i venti, si scatenano le tempeste, gli fanno visita, come nella Passeggiata di Robert Walser, i più amati fantasmi della Storia dell’Arte, per approdare sulle rive della contrada marinara di Andora. Tutto questo è presente in mostra: la sedia gialla (La luce è stanca) è van Gogh, la camicia bianca che si dibatte è Bacon (Fuggendo dalle tenebre), la scala (Anabasis) è l’uscita dalla realtà, il letto ricoperto da un lenzuolo ricamato, su cui è stato sparso del riso (Costretto a ricordare), è la Silvana Mangano, mondina suicida in Riso Amaro, nel contesto del lavoro clandestino del dopoguerra, le due presenze fantasmatiche ripiegate sulle sedie (Simposio nascosto) sono memoria di una Grecia dei Colonnelli, pronta a sospettare di un libro spalancato sulla luce della conoscenza. Sorprendente è il fatto che l’acme poetico dell’opera scaturisca dalla tensione che si crea tra l’utilizzo di materiali poveri, come il cartone da imballaggio, il nastro adesivo da carrozziere e l’alta temperatura poetica della composizione pittorica o dell’installazione multimediale.
Lo scenario della mostra, a cura di Viana Conti e Christine Enrile, è, in questo contesto, altamente emozionale e intriso di un pathos profondo che sfiora le corde dell’Immaginario collettivo, molto presente anche nel messaggio sociale dell’opera dell’artista greco, residente in Svizzera. Affiorano, davanti alle opere di Nakis Panayotidis, memorie di un vissuto esistenziale, relazionale, culturale, estetico, che gli hanno valso premi, presenza in collezioni istituzionali, riconoscimenti espositivi internazionali, nel 2017, del Kunstmuseum di Berna, del MACRO di Roma, della Hess Collection Museum, di Napa, California.
Marinella Chiavero
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